“Chi non ricorda quegli uomini liberi,quei padri di famiglia prelevati, dagli squadristi in camicia nera, dalle loro abitazioni, dal letto coniugale, dagli uffici, dai posti di lavoro? Prelevati, bastonati, tradotti in carcere o massacrati davanti alle loro abitazioni o davanti alle Camere del Lavoro incendiate. Che cosa è avvenuto delle loro mogli, dei loro figli, dei loro genitori? Che cosa è avvenuto di quelle famiglie? Quanti nomi si potrebbero fare! Quanti conosciuti, quanti rimasti sconosciuti! Ma di tutti sono conosciute le loro sofferenze morali e materiali. Per venti anni mogli, figli, famiglie di antifascisti sono stati perseguitati, sono stati sottoposti al più spietato terrore. Costretti a vivere lontano dai loro cari, nel più completo isolamento. Quanti di costoro non sono più tornati, lasciando un vuoto incolmabile nelle loro case....
Ognuna di noi che si è trovata durante la guerra di liberazione nazionale, al posto della mamma, a dare l'ultimo sorso d'acqua e l'ultimo addio a un patriota che ci abbandonava per sempre senza chiedergli quale fosse la sua fede politica e religiosa, ha fatto la promessa di non dimenticare le parole che ogni volta ci venivano ripetute: “fate che il nostro sacrificio-ci dicevano i caduti-non sia stato vano”. "Ebbene, on. Colleghi, uniti con loro rinnoviamo la promessa dicendo ai nostri compagni di lotta, di sofferenza e di gloria: “Riposate in pace, finchè in Italia ci sarà un antifascista ... il vostro sacrificio non sarà stato vano ed il fascismo non passerà.
On. Gina Borellini
Medaglia d'Oro al valore militare
(da un discorso pronunciato alla Camera dei Deputati nella 1° legislatura)
Il 30 agosto 1944 Luigi Gualdi (nella foto) aveva 18 anni quando fu ucciso durante un’azione. Insieme ad altri due partigiani era stato incaricato di prelevare un fucile mitragliatore dalla casa di un fascista, che reagì uccidendo, insieme a Gualdi, anche Riccardo Guandalini.
Luigi era un giovane brillante, che per le sue qualità era stato nominato comandante di un gruppo di battaglione della XIV Brigata “Remo”. La sua famiglia era composta dal padre Nino, dalla madre Maria Bianchini e dalle sorelle Lidia e Anna Maria. Emigrati in cerca di fortuna a Milano, erano rientrati a Mirandola nell’aprile del 1943 come sfollati, a seguito del bombardamento del capoluogo lombardo del 12 febbraio.
Per aiutare economicamente la famiglia, Luigi (che a Milano aveva studiato) andò a lavorare presso il Calzaturificio Parenti poi da Gualdi di Motta e alla Maserati, in qualità di disegnatore meccanico. Dopo i licenziamenti in massa che seguirono l’8 settembre 1943 lavorò per l’Ufficio annonario e alla Distilleria.
Pagò con la vita la sua scelta di aderire alla Resistenza, per garantire democrazia e libertà al nostro Paese.